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King Crimson + Porcupine Tree + Marta sui tubi + Obake = O.R.k.
Dopo l’esordio “Inflamed Rides”, uscito nel 2015 e molto ben accolto dalla critica europea, e due lunghi tour in Europa e Sud America seguiti nel 2016, gli O.R.k. di Lorenzo Esposito Fornasari (LEF), Carmelo Pipitone, Colin Edwin e Pat Mastelotto tornano con un nuovo album – questa volta per Rare Noise Records – a conferma della solidità di un progetto che non era solo estemporanea superband. I numerosi concerti hanno permesso al gruppo di mettere a fuoco il sound in completa condivisione d’idee e intenti: dunque il nuovo “Soul Of An Octopus” porta in sè il DNA di “Inflamed Rides”, ma risulta molto più potente e intenso già dal primo ascolto. Prodotto dallo stesso LEF, il disco è stato mixato da Marc Urselli (vincitore di 3 Grammies, sound engineer di pezzi da novanta come John Zorn, Lou Reed, Laurie Anderson, Mike Patton e molti altri) ed è stato masterizzato da Michael Fossenkemper al Turtletone Studio di New York. Il magnifico artwork del disco è anche questa volta stato realizzato da Nanà Oktopus Dalla Porta, che ha inventato un nuovo capitolo della immaginifica visione del mondo O.R.k., in questo caso ispirato all’elemento acquatico che fa in parte da filo conduttore anche ai testi dell’album.
La presenza di Pat Mastelotto potrebbe inizialmente indurre gli ascoltatori a fare paragoni con la musica dei King Crimson – ‘Too Numb’ che apre il disco suggerisce similitudini con ‘Discipline’ per alcuni pattern ritmici di contrasto alla voce di Fornasari – o ancora con sonorità legate ai Pink Floyd, come nel caso di ‘Scarlet Water’, ‘Just Another Bad Day’ o in ‘Capture or Reveal’. In realtà la scrittura degli O.R.k. trae linfa da una moltitudine di fonti, coerentemente con gli abbondanti e variegatissimi curriculum musicali dei quattro membri fondatori: dall’opera contemporanea e il metal astratto di Obake per Fornasari, al rock progressivo sinfonico dei Porcupine Tree e una moltitudine di progetti jazz-rock per Colin Edwin, al rock alternativo dei Marta Sui Tubi per Carmelo Pipitone, al prog dei King Crimson e una moltitudine di progetti jazz-rock ed art-rock per Pat Mastelotto. Il collante di questa varietà è dato sia dal range vocale senza limiti di Lorenzo Esposito Fornasari, capace di passare senza soluzione di continuità dai toni quasi operistici di ‘Dirty Rain’ e ‘Till the Sunrise Comes’ a momenti intimistici che potrebbero ricordare Leonard Cohen, come in ‘Heaven Proof House’, che dall’approccio chitarristico innovativo di Carmelo Pipitone, alle chitarre elettriche ma anche e soprattutto alla chitarra acustica, come si evince da ‘Collapsing Hopes’. Il suono del rock a 360 gradi degli O.R.k. di “Soul Of An Octopus” è moderno, energetico e affilato, ed è molto più della somma delle parti in gioco, potente ma sempre cantabile, a breve nuovamente in tour in Europa e Sud America.
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JESSY LANZA
Un r’n’b che arriva dal futuro. Un futuro aereo, etereo, pieno di grazia, avvolgente. Ma, quando serve, anche ferocemente affilato. La canadese Jessy Lanza è, semplicemente, una delle gemme più preziose nella scena elettronica contemporanea. Lo è fin dai suoi primissimi esordi, quando ha prestò la voce ad alcune parti di “It’s All True”, il quarto album di studio dei Junior Boys, anno 2011. Da lì con Jeremy Greenspan, uno dei due Junior Boys, si consolida un’intesa artistica intensissima che porta all’esordio di Jessy come solista: l’anno è il 2013, il titolo dell’album è “Pull My Hair Back”, l’etichetta è la prestigiosa Hyperdub (ovvero la label guidata da Kode9 che, tra le varie cose, ha anche rivelato al mondo il talento di Burial), l’applauso di critica e pubblico è unanime e soprattutto oltre ogni previsione – il Guardian arriva a scrivere “la più recente e forse la migliore fra le nuove ‘soul girls’ più eteree”.
Da lì arriva una conferma dietro l’altra, con collaborazioni estemporanee con Caribou, Morgan Geist, Taso, Dj Spinn, e con una resa live sempre calibratissima, in illuminato equilibrio fra grazia ed energia, fra ricami melodici e adamantini ricami di synth e drum machine. Il 2016 è l’anno di “Oh No”: sempre su Hyperdub, sempre creato col piccolo aiuto di Jeremy Greenspan, sempre con un riscontro di pubblica e di critica ad altissimi livelli (da Mixmag ad Uncut passando per NME e The Quietus, le recensioni sono tutte improntate all’entusiasmo), ma anche con la capacità di far evolvere il suo suono su rotte ancora più vaste, esplorando più che nel precedente LP la battuta veloce. Una svolta che si riflette anche nei suoi live show, sempre più innervati di ritmo e carica dinamica senza però perdere nulla della classe “educata” che la ha permesso di diventare una delle voci più interessanti del panorama contemporaneo, in un territorio dove il soul stile Aaliyah o Janet Jackson viene reso astratto ed finisce coll’incontrare in modo erratico le suggestioni emotive alla Cocteau Twins o certe derive geometricamente hip hop, passando per un approccio compositivo iper-contemporaneo e digitalizzato.
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I Gazebo Penguins sono sempre stati in 3, e ora sono in 4. Hanno fatto uscire due dischi (LEGNA 2011 e RAUDO 2013) che sono stati suonati in più di 250 concerti per tutta Italia. Si dividono tra Correggio e Zocca, e NEBBIA è il loro ultimo lavoro, che uscirà il 03 marzo. Sono sempre stati definiti emo core o post hard core, ma con questo disco stanno spostando i confini del loro genere verso nuove province musicali. Continuano a fare musica perché pensano sia una cosa che gli viene bene, ma soprattutto li fa stare bene. E vorrebbero farlo per tutta la vita.
PHILL REYNOLDS
Phill Reynolds, all’anagrafe Silva Cantele è il chitarrista dei Miss Chain&the Broken Heels e il frontman dei Radio Riot Right Now. Scrive canzoni per voce e chitarra: folk e blues.
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Pau – Negrita & Dj Am:Pm aka Digital Monkey Beat DJSET
BIA PILS DJSET
in collaborazione con Heineken Star Serve Nights e HOME FESTIVAL
Guido Catalano, il ritorno del poeta che voleva, ed è riuscito, a diventare una rock star. Vate dall’anima rock, infaticabile pellegrino dei club musicali di tutta Italia, il poeta torinese è pronto a ripartire con il suo trolley per portare in tutta Italia i versi della sua nuova raccolta di poesie Ogni volta che mi baci muore un nazista
Dopo essersi brevemente rigenerato tra i luoghi amici della capitale sabauda, Guido Catalano, il poeta, scrittore e performer torinese più chiacchierato nel nostro Paese, si rimette in marcia per svelare i versi del suo nuovissimo libro di poesie, intitolato “Ogni volta che mi baci muore un nazista” (in uscita il 2 febbraio 2017 per Rizzoli) e farli riecheggiare in tutto lo Stivale con una nuova, lunga, serie di esibizioni live.
Il volume esce a quattro anni di distanza dall’ultima raccolta di poesie firmata da Guido Catalano (Piuttosto che morire m’ammazzo – Miraggi Edizioni, 2013) e segna il ritorno del poeta, dopo un appassionante viaggio nel mondo della prosa, culminato con la pubblicazione del primo e fortunatissimo romanzo “D’amore si muore ma io no” (Rizzoli – 2016).
Nelle oltre 300 pagine di “Ogni volta che mi baci muore un nazista”, Catalano ha raccolto 150 poesie inedite per un nuovo coinvolgente viaggio fatto di dialoghi tra innamorati, indomabili versi, travolgenti emozioni e un pizzico di erotismo. Il tutto restando fedele al suo stile unico, un modo inconfondibile di raccontare l’amore fortemente legato al carattere decisamente sui generis dell’autore torinese: uno che, in fondo, il sogno giovanile di fare la rockstar non lo ha mai del tutto abbandonato anche quando si è innamorato perdutamente della poesia, uno che, perciò, i sentimenti li ha sempre raccontati a modo suo, stravolgendo le regole dei classici reading per trasformarli in veri concerti di parole, sui palchi dei più prestigiosi live club italiani.
Così dopo le 10.000 persone che lo hanno abbracciato nel corso del suo ultimo “Grand Tour”, dopo più di 100 date in tutto lo Stivale (Molise compreso), oltre 2500 poesie lette, 200 ore da poeta live, 34.000 km percorsi, via terra, acqua e aria (quest’ultima se proprio necessario), 30 ore di applausi (tempo effettivo), 50 ore di risate (tempo effettivo), 200 litri di acqua bevuti, 500 brindisi (ma giusto per bagnarsi le labbra), 3 poltrone (utilizzate per rendere più calorosa la scenografia), 2 minuti di silenzio (in ricordo delle due poltrone cadute nel corso del tour), 5000 persone del pubblico che si sono baciate e 30.000 nazisti morti (alcuni ci hanno dato dentro parecchio), Guido Catalano è pronto a ripartire per una nuova e poeticissima avventura attraverso il Belpaese.
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Guido Catalano nasce a Torino alle 8.50 del mattino del 6 febbraio del 1971. A 17 anni decide che vuole diventare una rockstar, più tardi ripiega sulla figura di poeta professionista vivente, che ci sono più posti liberi. Produce sei libri di poesie. Le raccolte Ti Amo Ma Posso Spiegarti e Piuttosto Che Morire M’Ammazzo, edite da Miraggi Edizioni, vendono oltre 30.000 copie. Gli addetti ai lavori affermano: “Non ci crediamo!”. Nell’anno del Grande Gombloddo la lobby dei poeti lo accusa di essere un cabarettista, la loggia dei cabarettisti di essere un poeta, al termine della dura battaglia pronuncia la storica frase: “Anche Montale andava un sacco a capo”. Feroce polemica unilaterale con Cocciante sulla reale opportunità di regalare a Margherita una stella, esponendo così la povera ragazza a radiazioni nucleari letali (Cocciantone non raccoglie, forse mai verrà informato). Dopo una serie infinita di letture pubbliche in tutta Italia, la grande presa di coscienza: “Per essere un poeta son troppo di buon umore”. Nonostante i suoi sorrisi fuori luogo, rimane vittima di un passaparola caino e i suoi versi iniziano a diffondersi sui social, nei bar delle periferie, nei circoli Arci, nelle librerie, sui palchi dei centri sociali, nei festival letterari e anche in quelli musicali. Conquista anche i palchi dei teatri e dei live club più importanti d’Italia e nel frattempo continua a far limonare un sacco, ma proprio un sacco, di persone. Nel febbraio 2016 pubblica per il prestigioso editore Rizzoli, il primo romanzo dell’ultimo dei poeti, D’Amore Si Muore, Ma Io No. Per l’occasione dichiara alla stampa: “Chiedermi di scrivere un romanzo è come chiedere a uno che ha sempre corso i 100 metri di tentare la maratona. Ma io amo le sfide e spero che, crampi a parte, questo libro possa regalarmi anche qualche soddisfazione”. Parte per il suo Grand Tour, dopo più di cento date e 34.000 km percorsi, scopre il Voltaren® e si ritira a vita solitaria nella sua dimora torinese. Mentre recupera dalle fatiche e dall’acido lattico, dà forma alla sua nuova raccolta Ogni volta che mi baci muore un nazista. A novembre 2016 arriva sugli schermi del 34° Torino Film Festival con la pellicola Sono Guido E Non Guido, un mockumentary, firmato da Alessandro Maria Buonomo per Elianto Film e Fargo Film, che lo vede protagonista assieme al suo alter ego Armando Catalano.
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EDDA
Edda nasce artisticamente alla fine degli anni ’80 come cantante dei Ritmo Tribale, storica band seminale nel mondo del rock italiano, con cui ha realizzato sei dischi e centinaia di concerti.
Poi una lunga pausa dalla musica e dalla vita sociale. Una crisi personale, anni difficili, droga, comunità di recupero. Dopo sei album con i Ritmo Tribale e quattro da solista (tre originali e un EP live), EDDA torna con “Graziosa Utopia”, un disco maturo, forte e disperato, denso di suggestioni, spiritualità, provocazioni e amore incondizionato, in uscita il 24 febbraio 2017.
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UBBA
Ubba nasce alla fine degli anni settanta su un iceberg, lo scioglimento del quale obbligherà i suoi genitori a trasferirsi a Bologna. Autore di 6 dischi a nome UBBA + BOND, alterna i vestiti del Musicista/Autore a quelli di Stand Up Comedian nel collettivo La Factory di Renato Tabacchi. Ubba ritiene che Edda, Fabio e Luca siano autori di uno dei pochi gesti artistici attuali che ricorderemo tra 30 anni. Nei concerti di solito suona delle canzoni. Poi, a volte, se il locale è in possesso di un frigorifero capiente, lancia gelati.
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I Nerve si sono evoluti partendo dal leggendario evento newyorkese Prohibited Beats organizzato da Jojo Mayer negli anni ’90. Quella che era inizialmente una piattaforma sperimentale in cui convogliavano DJ’s, visual artists, musicisti ed il pubblico stesso nel tempo è naturalmente evoluta in un vero e proprio gruppo che ha trasformato la musica elettronica da un format basato sulle programmazioni in una perferomance improvvista dal vivo. In questa nuova veste la band ha assimilato un ampio spettro di stili elettronici, dal Jungle, Dub Step, o Glitch alla Minimal e Tech House e tutti qui generi che ancora non hanno trovato una definizione. Col passare del tempo i NERVE hanno familiarizzato con il pubbilco, portando i ritmi, l’improvvisazione e l’evoluzione stilistica del jazz nell’era digitale. Sempre mantenendo l’essenza del Rock’n Roll fatta di puro divertimento e mostrando il dito medio a chi tutto questo non va a genio.
Attuale Line-up:
Jojo Mayer: Batteria
John Davis: Basso
Jacob Bergson: Tastiere
Aaron Nevezie: Suoni e manipolazione audio
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NATHAN FAKE
Growing up in Norfolk and attending a school where being into music made you an outsider, Nathan Fake’s early interest in the electronic scene came from hearing acts like Aphex Twin and Orbital on the radio and reading about the equipment they used in music magazines. Having begun to acquire and experiment with his own gear, an encounter with James Holden in 2003 led him to align with the then fledgling label Border Community, releasing his first material, the “Outhouse” single, that same year.
The relationship with Holden’s label continued with further EP releases – “The Sky Was Pink” and “Silent Night” – leading to his breakthrough debut album “Drowning In A Sea Of Love”, released in 2006 to widespread praise from the likes of Pitchfork and the Guardian, and hailed as one of Mixmag’s top albums of that year. Fake recorded two further albums for the label – 2009’s “Hard Islands” and “Steam Days” in 2012 – before establishing his own label Cambria Instruments in 2014 alongside former Border Community associate Wesley Matsel. Their collaborative single “Black Drift / Bismuth” was followed by Fake’s solo effort “Glaive” EP in 2015.
Throughout this time he also took on a number of impressive and diverse remixes, from Radiohead to Jon Hopkins to Clark, working for labels such as Ninja Tune, Domino, Warp and Kompakt. Extensive touring has taken his sound across the globe, including notable tours with Orbital, Four Tet, Jon Hopkins & Clark.
In September 2016 Nathan announced his signing to Ninja Tune with “DEGREELESSNESS / Now We Know” 12”, featuring NYC’s Prurient aka Vatican Shadow (Hospital Productions). This is the first music to be released from his forthcoming album for Ninja Tune, set for release in 2016.
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AFTER CRASH
“After Crash is about love and friendship”. Così Francesco Cassino e Nicola Nesi, da Bologna, sintetizzavano la propria band e la propria musica, e non è difficile immaginare il perché: “#Lostmemories”, il loro esordio, sembra voler urlare tutta la vita e tutto il presente che c’è dentro queste nove tracce. E senza bisogno di troppe parole. Sono inni all’esistenza, a tutto ciò che accade, alle separazioni e agli errori, al talento e alla magia di fare musica. Come “We Leave”, apertura e pezzo-anthem à la M83, che fa venire una voglia irrefrenabile di alzarsi e fare qualcosa, di non perdere un minuto, scegliere un aereo a caso, ritrovarsi a New York a guardare le luci frenetiche della città. O magari a Londra, luogo che nel percorso musicale ed umano degli After Crash ha avuto importanza tanto quanto Bologna (leggasi per entrambi triennale in composizione e produzione di musica applicata all’University of Hertfordshire e master alla Goldsmiths, University of London). Folgorati nell’adolescenza da “Ok Computer”, cominciano una ricerca musicale totalizzante, mischiando elettronica e acustica, componendo colonne sonore, accompagnamenti per spettacoli teatrali, pubblicità. L’ampiezza del territorio in cui sanno muoversi con disinvoltura è sterminata, così come la capacità di fare propri tutti gli stimoli con i quali vengono a contatto. Portandosi sempre dentro la raffinatezza dei Telefon Tel Aviv, giocano con tante identità: immagazzinano Jon Hopkins nei momenti più battuti (“Overrated”, “Timeless Room”), poi rallentano per prendere a braccetto James Blake (“Leica”). Sfoggiano contaminazioni ambient degne di Nils Frahm (“Delplace”), introducendole col monologo dello Steiner/Alain Cuny ne La Dolce Vita, quando ricorda che “è la pace che mi fa paura. Temo la pace più di ogni altra cosa: mi sembra che sia soltanto un’apparenza, e che nasconda l’inferno”. La pace è stasi, quindi meglio non adagiarsi troppo, meglio stravolgere e trasformarsi ancora: diventando per quattro minuti una band post-rock (“Texture in Pectore”), dei compositori sopraffini di pezzi pop (“Don’t Change For Me”), o dimostrando di sapersi difendere bene anche nel tenere una pista da ballo (la finale “Transports”). Infiniti spunti, riuniti sotto il filtro del ricordo, come il titolo dell’album. Nessuna nostalgia, ma un post-it per il futuro che è già presente e va vissuto al meglio. Con un titolo che cita l’hashtag ufficiale della settima edizione del roBOt Festival, la cui partecipazione è stata una presa di coscienza importante nel percorso che ha portato alla stesura di questo disco. Disco che è passato attraverso le sapienti mani di Andrea Sologni (Gazebo Penguins) per la registrazione e il missaggio nel suo Igloo Audio Factory, con il mastering finale al Calyx Studio di Berlino. E in tutti i trentacinque minuti di musica, c’è una caratteristica che emerge chiara e forte: l’eleganza che Francesco e Nicola hanno saputo mettere in ogni brano, in ogni scelta. Non c’è elemento che stoni, non un’aggiunta di troppo, o un pezzo al posto sbagliato. Sanno essere sofisticati e leggeri, sanno accelerare e prendersi delle pause, sanno cosa va fatto in ogni momento. Non sono doti da poco, figlie dell’abnegazione e dell’esperienza (nonostante sia un esordio), ma soprattutto della propria bravura e del proprio gusto. Sono cose preziose che rispondono al nome di talenti, e che vanno sì coltivate ogni santo giorno, ma che sono innate. E soprattutto, come tutte le cose preziose, col tempo non potranno che aumentare di valore.
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L’anno prossimo saranno 20 anni dalla nascita dei Sodastream; 20 anni durante i quali Karl Smith e Pete Cohen hanno pubblicato 4 album, quattro EP e un disco live, lasciando un segno indelebile nella musica indipendente australiana.
Tornano oggi con “Little by Little”, il loro primo lavoro da un decennio a questa parte.
Fin dai suoi esordi, il duo si è guadagnato l’attenzione di nomi importanti come il leggendario John Peel e Moby (che indicò “Practical Footwear” del ’98 come singolo della settimana su Melody Maker), ha condiviso i palchi di tutto il mondo con band come Pavement, Yo La Tengo, Smog, Low, Belle & Sebastian e The Mountain Goats e ha pubblicato dischi con etichette influenti come Rough Trade, Darla, Trifekta, Homesleep, Candle, Drive-In e Acuarela Discos. Il tutto riuscendo a preservare la propria formula chitarra+contrabbasso lontana dalle moda e dai trend del momento.
In casa propria i Sodastream sono stati anche più riveriti e hanno potuto da sempre contare su una fanbase incredibilmente fedele che ha seguito tutti e quattro gli album: Looks Like a Russian (2000), The Hill for Company (2001), A Minor Revival (2003) e Reservation (2006). Di stanza a Melbourne fin da subito dopo la nascita del gruppo, Karl e Pete sono in breve riusciti a stabilire dei legami molto forti con altri musicisti locali, che hanno portato alle collaborazioni nei side project Small Sips e Lee Memorial.
Seguendo le orme di band affini come The Go-Betweens and The Triffids, i Sodastream sono usciti dai confini australiani per portare la propria musica nel mondo. E durante il periodo successivo, in cui la band ha sospeso la propria attività, ha comunque sostenuto la florida scena guitar-pop australiana che ora include Twerps, Dick Diver e The Ocean Party – band che hanno compreso che non è necessario fare rock per essere d’impatto.
Dopo uno stop di sei anni, durante i quali Karl ha pubblicato un acclamato album solista ed entrambi i membri della band si sono dedicati alle loro famiglie in crescita, i Sodastream tornano ad esibirsi live con la promessa di produrre nuovo materiale. Hanno brillantemente mantenuto la promessa con Little By Little, disco in cui la cifra stilistica del duo si raffina pur suonando fresca e intima come mai prima. Per il disco Karl e Pete si sono nuovamente avvalsi del produttore e batterista Marty Brown (Clare Bowditch, Art of Fighting) e hanno collaborato con J Walker (Machine Translator), Tom Lyngcoln (Harmony, The Nation Blue) e Kelly Lane (Skipping Girl Vinegar), attingendo quindi a piene mani dal ricco panorama di musicisti indipendenti australiani.
Registrato poco a poco nel corso di tre anni e composto anche da brani che risalgono alle sessioni di Reservation del 2006, Little By Little ristabilisce fin da subito l’immediatezza avvolgente dei Sodastream, sia dal punto di vista della musica che da quello dei testi. Mai inclini a fare le cose di fretta, i Sodastream hanno lavorato lentamente a quello che potrebbe essere il loro miglior album, un album che rende onore a tutte le sfumature della discografia di Karl e Pete anche quando si allunga e avvicina a nuovi territori.
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OFELIADORME – Release Party
In uscita il 17 marzo 2017 con distribuzione Warner Music Italia e publishing Ala Bianca/Howard Simon Bernstein, “Secret Fires” è il terzo album di Ofeliadorme: otto tracce registrate e prodotte da Howie B con il sound engineer Joe Hirst (Four Tet, Jarvis Cocker, DJ Shadow) tra la campagna del Galles e Londra nel giugno 2015. Una produzione internazionale che conferma il trio bolognese come una delle proposte più raffinate del panorama indipendente italiano ed europeo.
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VERDIANA RAW
Verdiana Raw, classe ’87, a quattro anni di distanza da “Metaxy” ci ha proposto un album di grande spessore stilistico, ”Whales know the route” (Pippola Music). I brani si muovono all’interno delle pieghe emotive dell’artista e ci hanno da subito colpito profondamente. A volte accarezzano dolci, a volte graffiano e colpiscono con la loro cruda sincerità. L’immagine onirica e simbolica della balena è uno dei nodi attraverso cui è possibile un primo avvicinamento alla sua produzione. L’istinto e l’urgenza vocale sono i mezzi primari che Verdiana usa per definire concetti quali la maternità, la strada, l’intuito materno, l’amore.
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