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Il Circo Zen, da Pisa. Nove album ed un Ep all’attivo, diciotto anni di onorata carriera ed oltre mille concerti. Hanno riportato lo spirito padre del folk e del punk al moderno cantautorato con Andate Tutti Affanculo (2009) un album che li ha consacrati dopo anni di duro lavoro. Il disco – per Rolling Stone fra i migliori 100 album Italiani di tutti i tempi – ha contribuito a definire la nuova generazione della musica italiana degli anni zero. Precedentemente gli Zen hanno collaborato con tre mostri sacri dell’alternative americano come Violent Femmes, Pixies e Talking Heads in Villa Inferno (2008). Si sono costruiti una credibilità condivisibile da pochissimi altri artisti nostrani grazie all’attività live più incessante, urgente e di qualità che si possa immaginare. Hanno confermato e moltiplicato il proprio pubblico con Nati Per Subire (2011) fino a raggiungere la top ten della classifica Fimi/Gfk ed il primo posto di quella generale di iTunes con Canzoni Contro La Natura (2014). Oggi più che mai gli Zen si confermano come una certezza del rock indipendente Italiano, portabandiera indiscutibili della musica libera da vincoli: zero pose, zero hype ma solo tanto, tanto sudore. Questa attitudine è stata premiata nel tempo da un pubblico affezionato e sempre più trans generazionale, che riempie ormai da anni i migliori club e i migliori festival del paese.
Dopo otto dischi, un ep e diciotto anni di carriera, THE ZEN CIRCUS festeggiano la maggiore età con un nuovo grande disco di inediti, “La Terza Guerra Mondiale”, uscito il 23 settembre per La Tempesta Dischi. “La Terza Guerra Mondiale” è il disco al quale hanno dedicato più tempo in studio, lavorando su ogni piccolo dettaglio, dalle melodie ai testi, dagli arrangiamenti ai suoni. Sono partiti da quaranta provini e hanno scremato fino ad arrivare alle dieci canzoni che compongono il disco, fino a quando non hanno avuto la sensazione che ognuna avrebbe potuto essere un singolo. “La Terza Guerra Mondiale” è, per questo, il disco più “power pop” di The Zen Circus. Gli arrangiamenti sono fatti esclusivamente di chitarra, basso, batteria e voci: per la prima volta in un disco Zen non ci sono tastiere aggiunte, synth, archi o fiati e, se qualche volta può sembrare, si tratta di chitarre o voci filtrate ed effettate: una scelta volta a poter portare dal vivo il disco nella sua forma originale. La splendida copertina racconta, in tutta la sua crudeltà, la provocazione lanciata dal Circo Zen col suo nono disco: rapiti dal bisogno di esistere, che il mondo digitale non sa soddisfare, non sappiamo più accorgerci di quello che ci sta attorno.
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Hindi Zahra è cresciuta in Marocco, circondata da musica e balli. Le prime melodie che ascolta sono quelle della musica tradizionale berbera, la musica indiana ed egiziana, per poi passare al rock psichedelico, al reggae e alla musica soul. A 12 si trasferisce a Parigi ed è in Francia che inizia la sua carriera da musicista.
Il suo prima lavoro è al Louvre e all’età di 17 anni sale sul palco per la prima volta in occasione della “Fête de la musique”.
Hindi Zahra si è formata prima di tutto esibendosi dal vivo, sul palcoscenico trova l’ispirazione che la porta in seguito in studio di registrazione a dare vita al suo primo album, “Handmade”. L’album di debutto è preceduto da una canzone che colpisce direttamente al cuore, “Beautiful Tango”, un piccolo capolavoro, la sua voce suadente cattura, la chitarra viaggia in terre lontane, non si può far altro che seguirla. Tre anni dopo il demo di “Beautiful Tango” esce l’ormai celebre “Handmade”, l’album prodotto da Hindi Zahra, dalla A alla Z, che richiama subito l’attenzione del grande pubblico; il suo stile, la sua voce, il suo fascino non passano inosservati.
Insieme al successo di pubblico arrivano anche i riconoscimenti professionali: il contratto con Blue Note, il premio Costantin nel 2010, il Premio “Victoire de la Musique” nella categoria World Music; il suo album esce in oltre 20 paesi. Con “Handmade”, Hindi Zahra si esibisce in 400 concerti, viaggiando in tutto il mondo per due anni e mezzo. Suona fino allo sfinimento, fino all’esaurimento dei sensi e delle forze, come in rituale ripetitivo, in cui la coscienza si perde, in stato di trance.
Alla fine della sua tournée Hindi Zahra decide di trasferirsi per un anno a Marrakech. Isolata, in un Riad della Medina. In questo luogo ritrova la pace e ritrova il cammino per la sua musica. “Una vera discesa nella solitudine. Per metabolizzare una storia e raccontarla. A volte capitava che facessi la spesa e poi per due settimane non uscivo più di casa.”
La sua ricerca parte dalla ripetizione, inizia ad esplorare i ritmi con Rhani Krija, un musicista di Essaouira. “E’ arrivato con un furgone pieno di percussioni, le ha disposte nel patio del riad. Sceglievamo gli strumenti, mescolavamo: ritmi cubani con percussioni marocchine, ritmi marocchini con percussioni indiane..” Tutto il resto nascerà da questo tappeto di ritmi e di percussioni, la composizione, le canzoni, gli arrangiamenti.
In questo periodo Hindi Zahra passa molto tempo ad esplorare le grotte tra Essaouira e Agadir, si spinge sulle vette delle montagne, con gli abitanti berberi che dall’alto scrutano l’Oceano. Esce dall’isolamento, le sue canzoni la riportano a viaggiare. A Cuba, in Giordania, in Egitto, in Italia, in Andalusia – a Cordoba registra con il chitarrista flamenco Juan Fernandez “El Panky”. E’ attrice in due film: “The Narrow Frame of Midnight” di Tala Hadid e “The Cut” del regista tedesco Fatih Akin (La sposa turca, Soul Kitchen..).
Durante i suoi viaggi, alcune passioni musicali si affermano con maggiore vigore (Miriam Makeba, Césaria Evora, Marvin Gaye e Nina Simone, per quest’ultima Zahra ha ripreso Just Say I Love Him in un recente album-tributo) e tracciano la strada ascensionale di “Homeland”.
La registrazione dell’album si conclude a Parigi, dove onora le sue radici tuareg invitando il chitarrista Bombino a suonare in “To The Forces”. Il percussionista brasiliano Ze Luis Nascimento ridona il gusto del viaggio alle canzoni, e una squadra di musicisti si forma attorno a lei. Hindi Zahra arriva finalmente alla conclusione di un’odissea d’iniziazione che è durata due anni e mezzo. Ma per l’ascoltatore questo è solo l’inizio del suo viaggio.
“Homeland” si ascolta con semplicità. C’è essenzialità, un qualcosa di elementare in questo lavoro: il calore del sole, il rumore dell’Oceano, lo spazio, le canzoni che si muovono come maree o come nuvole. Riconosciamo dei generi musicali, molti stili diversi, ma sono solo richiami, qui tutto è stato amalgamato insieme, mescolato, il ritmo ondeggiante ed impetuoso trasporterà tutti in nuovi porti.
Canzoni di un’avventuriera che, risalendo le profondità, danza sulle onde e naviga nei deserti. C’è malinconia nelle sue canzoni, ma c’è l’estasi nella sua voce, e melismi che fanno il giro del mondo in spirale. L’anima dell’umanità, capace di liberare i corpi e i cuori in dolcezza, in profondità.
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“A casa tutto bene” è il nuovo disco di Brunori Sas, uscito a Gennaio per Picicca Dischi.
A distanza di due anni dal tour teatrale Brunori Srl – una società a responsabilità limitata, che ha registrato quasi sempre il tutto esaurito, Brunori Sas torna finalmente sul palco con “A casa tutto bene Tour” che arriva all’Estragon di Bologna il 25 e 26 febbraio. Un viaggio musicale di 18 tappe nei più importanti club e teatri d’Italia che è già un successo in prevendita con 8 date sold out e 2 raddoppi.
Un live rinnovato, energico, rock, che nasce proprio per dare il massimo nei club – “L’idea è, da una parte, di rendere il disco per come l’abbiamo suonato perché amo e rispetto la produzione e il suono di questo lavoro, dall’altra, di restituire un certo tipo di energia che è propria e si adatta perfettamente all’atmosfera del club” – racconta Brunori.
Uno vero e proprio spettacolo che non tralascerà i brani storici del cantautore, portando sul palco il nuovo impianto sonoro di “A casa tutto bene”, il quarto album di inediti di Brunori Sas, uscito per Picicca dischi, che ha debuttato sul podio della classifica Fimi dei dischi più venduti.
Durante il live si alterneranno momenti di puro divertimento ad altri più intimi e riflessivi. L’allestimento luci è curato da Francesco Trambaioli, che ha già lavorato, tra gli altri, con Ludovico Einaudi e Vinicio Capossela.
Brunori sarà accompagnato dalla sua band storica, composta da Simona Marrazzo (cori, synth, percussioni), Dario Della Rossa (pianoforte, synth), Stefano Amato (basso, violoncello, mandolini), Mirko Onofrio (fiati, percussioni, cori, synth) e Massimo Palermo (batteria, percussioni), Lucia Sagretti (violino).
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A distanza di due anni dal tour teatrale Brunori Srl – una società a responsabilità limitata, che ha registrato quasi sempre il tutto esaurito, Brunori Sas torna finalmente sul palco con “A casa tutto bene Tour” che arriva all’Estragon di Bologna il 25 e 26 febbraio. Un viaggio musicale di 18 tappe nei più importanti club e teatri d’Italia che è già un successo in prevendita con 8 date sold out e 2 raddoppi.
Un live rinnovato, energico, rock, che nasce proprio per dare il massimo nei club – “L’idea è, da una parte, di rendere il disco per come l’abbiamo suonato perché amo e rispetto la produzione e il suono di questo lavoro, dall’altra, di restituire un certo tipo di energia che è propria e si adatta perfettamente all’atmosfera del club” – racconta Brunori.
Uno vero e proprio spettacolo che non tralascerà i brani storici del cantautore, portando sul palco il nuovo impianto sonoro di “A casa tutto bene”, il quarto album di inediti di Brunori Sas, uscito per Picicca dischi, che ha debuttato sul podio della classifica Fimi dei dischi più venduti.
Durante il live si alterneranno momenti di puro divertimento ad altri più intimi e riflessivi. L’allestimento luci è curato da Francesco Trambaioli, che ha già lavorato, tra gli altri, con Ludovico Einaudi e Vinicio Capossela.
Brunori sarà accompagnato dalla sua band storica, composta da Simona Marrazzo (cori, synth, percussioni), Dario Della Rossa (pianoforte, synth), Stefano Amato (basso, violoncello, mandolini), Mirko Onofrio (fiati, percussioni, cori, synth) e Massimo Palermo (batteria, percussioni), Lucia Sagretti (violino).
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www.brunorisas.it
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– In apertura Carnesi
Molto amato da colleghi illustri come Kurt Vile, Greg Dulli e Josh T. Pearson, che riconoscono in lui un indiscusso talento, Duke è noto anche per le numerose collaborazioni: ha lavorato, tra gli altri, al fianco di Mark Lanegan e Savages. Mark Lanegan lo ha descritto come “uno dei suoi artisti preferiti di tutti i tempi” e lavorare con lui è stata “una delle migliori esperienze della mia vita lavorativa”. Di fronte a un’apocalisse, tutti abbiamo bisogno di una casa sicura. Non un posto in cui nasconderci, ma da rivendicare come nostro. Nel suo nuovo album Duke Garwood ha creato il posto perfetto per ognuno di noi, ecco Garden of Ashes.
“Sono un uomo arrabbiato; così arrabbiato da bruciare l’aria che ho intorno. Questo è il combustibile nucleare che utilizzo per fare musica”, dice Duke. “In un mondo così pieno di dolore e di follia abbiamo bisogno di esserlo più che mai e di evolverlo. Per diventare padroni del nostro destino e smettere di ascoltare quelli che vorrebbero rubarci anche il nostro ultimo respiro”.
Per un artista che sostiene di essere arrabbiato, nella sua musica c’è tanto amore da impedire un Armageddon, perchè l’unico modo per combattere l’angoscia è la positività. Questo è il messaggio che si cela dietro il sesto album di Duke.
“Faccio bella musica, perché non abbiamo bisogno di musica arrabbiata in questo momento. Tutti possono accendere il televisore e vedere lo spettacolo dell’orrore, non hanno bisogno di sentirlo anche allo stereo”.
Tutta questa frustrazione può essere solo incanalata in Garden of Ashes. “Questo album è ambientato intorno alla mezzanotte nel giardino dell’amore. Il giardino del bene e del male. Il giardino del paradiso che sappiamo essere stato distrutto per soddisfare l’avidità delle persone. È tutto bruciato. Lo abbiamo reso cenere”.
In questo live Duke Garwood si esibirà accompaganto da un batterista e da due coriste. Queste ultime, le Smoke Fairies, saranno anche le supporter della data!
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◆ Russian Circles ◆
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I grandi Russian Circles non hanno bisogno di presentazioni!
Indubbiamente uno dei gruppi più importanti del post rock statunitense dal 2004, il passato li ha visti in tour con grandi nomi quali Tool, Chelsea Wolfe e Deafheaven e con all’attivo 6 splendidi album, tra cui l’ultimo “Guidance” (prodotto da Kurt Ballou, chitarrista dei Converge), uscito nell’agosto di quest’anno via Sargent House, accolto da critica e ascoltatori con enorme entusiasmo per la sua intensità compositiva ed emozionale!
ad accompagnarli:
◆ Cloakroom ◆
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interessante trio dall’Indiana, con il loro rock atmosferico e raffinato.
E’ uscito il 13 gennaio “Blindur”, l’omonimo disco d’esordio dei BLINDUR, il duo composto da Massimo De Vita e Michelangelo Bencivenga.
“BLINDUR” arriva dopo oltre 150 concerti (in Italia, Belgio, Islanda, Francia, Germania e Irlanda), la collaborazione con Birgir Birgisson, storico fonico e produttore di Sigur Ros, e sette premi, tra cui il Premio Pierangelo Bertoli 2015, il Premio De André 2015, il Premio Buscaglione 2016 e il Premio Tempesta Dischi “Sotto il cielo di Fred”. I Blindur, inoltre, sono stati tra i finalisti di Musicultura 2016.
Blindur è un duo nato nella primavera del 2014 da Massimo De Vita, cantautore, polistrumentista e produttore, e Michelangelo Bencivenga, polistrumentista. Il sound del duo si ispira alle atmosfere del folk e del post rock, con un piede a Dublino e l’altro a Reykjavík. L’amore per il Nord Europa permea tutto il lavoro della band, a partire dalla scelta del nome, una parola islandese. Per i testi il riferimento è sicuramente da rintracciare nella tradizione e la poetica del cantautorato italiano, con un occhio più attento a quello moderno. Nonostante siano solo due i musicisti in scena, il suono è ricco e articolato e l’ampio set up (chitarre acustiche ed elettriche; banjo; glockenspiel; effettistica ed elettronica minimale; cassa, rullante e tamburello, il tutto rigorosamente a pedale) contribuisce a dare la sensazione di stare ascoltando una band composta da più elementi. Il trucco è semplicemente godersi il tutto ad occhi chiusi. Il duo napoletano nei primi 24 mesi circa di attività ha già collezionato più di 150 concerti tra Italia, Belgio, Islanda, Francia, Germania e Irlanda, prendendo parte ad importanti festival internazionali, ad esempio il Body&Soul Festival a Westmeath e l’Airwaves festival a Reykjavik. La band ha prodotto nel 2014 un Ep dal vivo presso gli studi di registrazione Casa Lavica e nel 2016 un mini album acustico “Solo Andata – Live in giardino”; vinto l’edizione 2014 del premio Donida, il premio Muovi la Musica 2014, il premio Nuova Musica Italiana 2015, il premio Pierangelo Bertoli 2015; il premio Fabrizio De Andrè 2015, il premio Buscaglione “Sotto il cielo di Fred” 2016 e il premio Tempesta Dischi sempre nell’ambito dell’edizione 2016 di “Sotto il cielo di Fred”; nel 2016 Blindur riceve il premio Discodays giovani nell’ambito della diciassettesima fiera del disco di Napoli. Inoltre la band è tra i 16 finalisti per l’edizione 2016 di Musicultura e tra i 9 finalisti per Musica da bere 2016. Nel 2016 Blindur è inoltre tra le 10 band rivelazioni dell’anno secondo la rivista Keepon. Ha aperto i concerti di numerosi artisti del panorama indipendente italiano come Tre allegri ragazzi morti, Dellera, Dimartino, Giorgio Canali e Rossofuoco, Cristiano Godano (Marlene Kuntz), Il disordine delle cose, Iosonouncane, Dente, Nobraino, Bandabardò, Sick Tamburo, Calcutta, The Zen Circus. Blindur ha collaborato in ambito internazionale con artisti irlandesi come Johnny Rayge, con il quale ha realizzato un mini tour di 11 date in Italia nel novembre 2014; ha condiviso il palco con il poeta e cantautore canadese Barzin nella data napoletana del suo ultimo tour europeo; ha inoltre lavorato con Birgir Birgisson, storico fonico e produttore di Sigur Ros e non solo.
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JULIE’S HAIRCUT
In attività dal 1994, I Julie’s Haircut sono un collettivo di cinque musicisti emiliani. Il loro album di debutto “Fever in the funk house” (Gamma Pop, 1999), uno strano mix di garage rock, psichedelia noise e melodie pop fu salutato dalla critica come uno dei migliori debutti indie-rock italiani ed è stato inserito dalla rivista Rumore nella lista dei 50 album italiani fondamentali degli anni '90. Il successivo “Stars never looked so bright” (Gamma Pop, 2001) mescolava questi elementi con un approccio più soul, rispecchiando l’amore per la black music degli anni ’60 maturato in seno alla band. Nel 2003, dopo essere passati sotto l’egida della bolognese Homesleep Records I Julie’s Haircut hanno pubblicato il loro terzo album “Adult situations”, il primo a godere di una distribuzione internazionale. Qui melodia e psichedelia si compenetrano in maniera più personale. Dal 2005 la musica dei Julie’s Haircut si è mossa verso territori più sperimentali, concentrandosi maggiormente sull’improvvisazione e la ricerca sonora, senza perdere contatto con il groove e la melodia che hanno caratterizzato la loro musica fin dal primo giorno. Il frutto più immediato è “After dark, my sweet” (Homesleep, 2006), il quarto fortunato album della band, che vede la partecipazione dell’ex Spacemen 3 Sonic Boom, acclamato come uno dei migliori album dell’anno e inserito dalla rivista Il Mucchio nella top 20 degli album psichedelici italiani dagli anni ’80 in poi. Nel 2006 fungono anche da “sound carriers” per alcune performance dell’ex cantante dei Can Damo Suzuki, entrando così a far parte del Damo Suzuki Network e consolidando una solida relazione con l’artista nippo-tedesco che continua ancora oggi. Nel 2009 esce il quinto doppio album “Our Secret Ceremony” per l’etichetta A Silent Place. Nel 2010 realizzano per la rassegna "Storie di Straordinaria Scrittura" lo spettacolo Transformed a Carpi, nel quale risuonano l’intero album Transformer di Lou Reed accompagnati da diversi ospiti vocali come Violante Placido, Angela Baraldi, Lilith, Giovanni Gulino, Alessandra Gismondi. Lo stesso anno partecipano con Peter Hook all’omaggio ai Joy Division Unknown Pleasures a Reggio Emilia. Un nuovo singolo 10” che include cover di The Tarot dalla colonna sonora de “La Montagna Sacra” di A. Jodorowsky e di O Venezia Venaga Venusia di Nino Rota dalla colonna sonora del “Casanova di Federico Fellini” viene pubblicato nel giugno 2011 sulla risorta etichetta Gamma Pop. A giungo 2012 esce per Wood Worm & Trovarobato un nuovo EP di 4 tracce inedite intitolato “The Wildlife Variations”. Nel 2012 la band ha dato inizio a una collaborazione con il compositore contemporaneo americano Philip Corner, sfociata in una performance live a Reggio Emilia, in una session di registrazioni di musiche di Corner sotto la direzione del compositore e in una installazione sonora per la prestigiosa mostra “Women in Fluxus and other experimental tales”, tenutasi a Palazzo Magnani a Reggio Emilia. A marzo 2013 Gamma Pop pubblica il singolo in 7” split “Downtown Love Tragedies”, condiviso con gli amici di lunga data CUT, nel quale rivisitano il classico di Bill Withers Who is he and what is he to you. In ottobre 2013 esce l’album “Ashram Equinox” per Wood Worm / Audioglobe / Rough Trade. A febbraio 2017, entrati nel roster della prestigiosa label inglese Rocket Recordings, pubblicano il nuovo album “Invocation and Ritual Dance of My Demon Twin”.
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CHOW
I Chow nascono a Bologna nel gennaio 2013 quando Davide Montevecchi e Riccardo Frabetti, partners in crime dai tempi delle superiori e rimasti orfani dei Tunas, si mettono a suonare con Stefano Zuccato (The Classmates). Forti delle comuni passioni per il punk rock, la psichedelia di fine ’60 ed il cibo, iniziano a girare, a suonare con nomi di un certo spessore come CUT, Sic Alps, Fleshtones, Virus, Giuda e a sperimentare tutti i ristoranti, osterie e bettole possibili. Si autoproducono una cassetta omonima nel 2014 e un 7″ nel 2016.
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